A review by elena_monti
L'abito bianco by Nathalie Léger

3.0

L’otto marzo 2008 l’artista milanese Pippa Bacca inizia un viaggio dal valore simbolico: con indosso un abito da sposa, parte da Milano diretta a Gerusalemme. Lo scopo è portare un messaggio di pace attraversando in autostop paesi e regioni martoriati dalla guerra. La performance viene documentata con foto e brevi video, fino al tragico epilogo in Turchia, quando l’artista viene violentata e uccisa da un camionista che le aveva offerto un passaggio.
Nathalie Léger decide di raccontare la storia di Pippa Bacca, partendo dal suo viaggio verso Milano per intervistare la madre dell’artista. Intervista che non verrà portata a compimento per la difficoltà di porsi di fronte al dolore di una madre a cui è stata brutalmente uccisa la figlia, come conseguenza di una performance artistica.

Un tema già trattato da Marina Abramovic in Rhythm 0, del 1974, in cui il pubblico le strappò i vestiti, le affondò delle spine nella carne, le legò la gola con il rasoio, bevve il suo sangue, la colpì con delle cinghie, la minacciò con una pistola. La stessa Marina al termine della performance ha detto parole che oggi suonano come una profezia: “La lezione che ho imparato da questa esperienza è che nelle nostre performance possiamo spingerci lontanissimo, ma se lasciamo fare al pubblico, possiamo restare uccisi.”

L’abito bianco però è un libro che ricorda quasi un memoir. Protagonista silenziosa della storia è la madre dell’autrice, donna ormai vedova che chiede alla figlia di renderle giustizia e denunciare le violenze domestiche a cui per anni è stata sottoposta.

“Ho letto in Balzac, una donna abbandonata ha un che d’imponente e di sacro […] è l’innocenza seduta sui detriti di tutte le virtù morte. […] Non ricordo niente che sia stato imponente o sacro, nessuna virtù ma una figura umiliata, fatta a pezzi, sempre in lacrime. Non ho sempre amato mia madre. Era schierata con i perdenti ed ero disgustata dal suo fazzolettino sempre umido, all’epoca non ero capace di abbracciarla, di consolarla, era schiacciata nell’umiliazione di essere stata abbandonata, il terrore di ritrovarsi sola con quattro figli, senza soldi, senza lavoro, soprattutto senza forze, niente.”