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Five Roundabouts to Heaven by John Bingham

borislimpopo's review against another edition

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3.0

Bingham, John (1953). Five Roundabouts to Heaven. New York: Simon & Schuster. 2000. ISBN 9781416545033. Pagine 226. 7,09 €

Mentre mi preparavo a scrivere la recensione di A Delicate Truth mi sono trovato a esplorare la produzione letteraria di John le Carré su Amazon e mi sono imbattuto in questo titolo, di cui non sapevo nulla. Ho presto scoperto che non si trattava di un’opera di le Carré ma di questo John Bingham, di cui ignoravo l’esistenza senza che la mia vita ne avesse sofferto per nulla. Ma perché le Carré si era preso la briga di scrivere l’introduzione al “giallo” di uno sconosciuto autore inglese? Perché Bingham, di una generazione più anziano di le Carré, era stato collega e mentore di David Cornwell (il vero nome di John le Carré) nell’MI5. I due erano stati amici, fino all’inevitabile rottura dovuta a una diversa valutazione di cosa si potesse o non si potesse scrivere (sia pure dissimulatamente) sull’MI5: Bingham aveva considerato le Carré poco meno di un traditore. Ecco che cosa aveva scritto 3 anni dopo la pubblicazione di La spia che venne dal freddo:

There are two schools of thought about our Intelligence Services. One school is convinced they are staffed by murderous, powerful, double-crossing cynics, the other that the taxpayer is supporting a collection of bumbling, broken-down layabouts. It is possible to think that both extremes of thought are the result of a mixture of unclear reasoning, ignorance and possibly political or temperamental wishful thinking. [dall'Introduzione di John le Carré a Five Roundabouts to Heaven, posizione Kindle 71]

Inoltre, per ammissione dello stesso le Carré, John Bingham era stata una delle due persone reali che erano confluite nella creazione del personaggio di George Smiley: «Short, fat and of a quiet disposition, he appeared to spend a lot of money on really bad clothes…»

Sarebbe bastato molto meno per indurmi a leggere il romanzo di Bingham.

Devo dire subito, però, che il romanzo non mi è piaciuto. Non per responsabilità di Bingham però, ma perché a me i gialli classici non piacciono, e questo lo è – nella varietà psicologica – fino in fondo. Forse mi aspettavo anche un’affinità stilistica con le Carré, che però assolutamente non c’è: Bingham scrive un inglese molto piano, vagamente anni Cinquanta. Il monologo interiore del protagonista (il libro è scritto in gran parte in prima persona e dal punto di vista di Bartels) è volutamente infarcito di frasi fatte e luoghi comuni.

Di più non dirò, perché il romanzo rispetta la maggior parte delle regole del genere e basterebbe qualche piccola indiscrezione per rovinarvi il piacere della lettura, se è la sorpresa il piacere che cercate.

Alcuni motivi di interesse e curiosità per me:

«Burglar, poacher, lover, mourner, they all looked much the same.» [pos. 1262: ricorda abbastanza da vicino la quartina di un famoso titolo di le Carré: Tinker Tailor Soldier Spy]

la lunga discussione sui sette peccati capitali (di cui ho scritto più volte, qui, qui, qui, qui e qui) e se costituiscano ed eventualmente esauriscano i possibili moventi di un assassinio.

Dimenticavo: le 5 rotatorie del titolo sono davvero rotatorie stradali e, sì, conducono piuttosto all’inferno che in paradiso, come tutte quelle che incontriamo quotidianamente noi.

* * *

Per concludere, due passi che ho trovato belli (riferimenti alla posizione Kindle):

Maybe everybody has three character-skins. The first skin is the one they try to present to the world, the deceptive skin; then comes the second skin, the concealed selfishness, the cynicism, the callousness, covetousness, and greed; but then, if you dig deep enough, right down below it all, you find the third skin, that of the essential, basic child, insecure, needing to be loved and to love. [947]

Sin is not simple. Virtue is simple but not easy, and sin is easy but not simple. Sin is tortuous and twisted, involving lies, and lies within lies, and the bending and warping of the conscience, and subterfuges and concealments, and the ever-present necessity to be on your guard, to watch your every action, to rein in your tongue, to act normally when you yearn to show emotion; only to discover that in acting, as you thought, in a normal manner, you have in fact acted abnormally. [3229]
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